Martedì, 05 Febbraio 2013 11:47

O liberiamo la domenica oppure rischiamo di lasciare “liberi a vita” tanti altri operatori commerciali.

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Le liberalizzazioni "selvagge"delle aperture domenicali, degli esercizi commerciali, hanno messo in gioco tre valori fondamentali, propri della "vita dell'essere umano": quello antropologico che priva le persone del riposo settimanale; quello sociale, che priva la famiglia di uno o entrambi i genitori, costretti a lavorare anche la domenica, la famiglia in primo luogo, il cuore dell'uomo, è la sede in cui Dio trova pace se l'uomo trova pace con se stesso e con la sua famiglia e gode del suo lavoro; quello economico, poiché un'economia senza regole e senza etica non porta benefici. Questo è stato anche il pensiero dell'Arcivescovo metropolita di Campobasso-Bojano, Mons.Giancarlo Bregantini e per questi tre motivi, ci sentiamo di condividere, con il mondo ecclesiastico, l'esigenza di un ripensamento della legge che regola-menti diversamente la materia. Ad avviso di questa Confederazione, la competenza, in materia di chiusure ed aperture domenicali e/o festive, deve tornare a livello locale, cioè alle regioni ed ai comuni per fare in modo che la decisione sulle aperture possa essere presa di fronte a necessità specifiche ed in un giusto rapporto con le esigenze del territorio.

La scelta di una liberalizzazione senza regole in una fase, per giunta, di profonda recessione, ha acuito invece solo le difficoltà delle Pmi senza peraltro avere effetti significativi sui consumi delle famiglie che hanno registrato un pesante trend negativo fino ad arrivare nel 2012 ad un calo record superiore al 4%. Gli effetti stravolgenti di questa situazione hanno inoltre ripercussioni gravi sull'occupazione e sulla deserti-ficazione dei centri urbani.

La strada da percorrere, - a nostro avviso – nell'immediato, per limitare la totale liberalizzazione introdotta dal decreto Monti è quella di richiedere l'osservanza ed il rispetto del decreto con il quale, anche l'Italia ha recepito la direttiva Bolkestein. Questo provvedi-mento,infatti, pur liberalizzando l'esercizio di molte attività, prevede delle limitazioni in base a motivi imperativi di interesse generale, che secondo la giurisprudenza della Corte Ue possono assumere varie vesti: l'ordine, la sicurezza, l'incolumità, la sanità pubblica, la tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi e dei lavoratori, l'equità delle transazioni commerciali, la lotta alla frode, la tutela dell'ambiente, incluso l'ambiente urbano, gli obiettivi di politica sociale e di politica culturale. Sussistendo questi motivi, l'accesso e l'esercizio di una attività di servizio possono, nel rispetto dei principi di proporzionalità e non discriminazione, essere subordinati anche a requisiti concernenti restrizioni quantitative o territoriali sotto forma, in particolare, di restrizioni fissate in funzione della popolazione o di una distanza geografica minima tra prestatori.

Va sottolineato,inoltre, che il recepimento della direttiva Bolkestein è stato un esempio di dialogo "collaborativo" tra Stato e Regioni, al contrario del decreto Monti che è "calato" sulle Regioni senza che vi sia stata alcuna consultazione.

                                                                                                                                         Luigi Zappone

Confimpresa Campobasso

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